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Barbieri (Confcommercio): «L’effetto dazi a Milano? Aumento dei prezzi e turismo a rischio»


di
Giampiero Rossi

Nel 2024 le imprese milanesi hanno esportato in Usa prodotti per quasi 4,5 miliardi di euro, il 10,6 per cento dell’export ambrosiano

«Il rischio di aumento dei prezzi c’è per tutti, e c’è anche il timore di perdere turisti americani, ma reagire subito sarebbe un errore, lasciamo prima stabilizzare la situazione». Marco Barbieri è stato nominato segretario nazionale della Confcommercio pochi giorni fa, ma dal 2016 è segretario generale delle circa 40 mila imprese commerciali di Milano, Lodi, Monza Brianza. Ed è innanzitutto a quelle 390 mila persone che pensa nel formulare le sue riflessioni sulla tempesta commerciale scatenata dagli Stati Uniti.

Come vivono questa fase i commercianti milanesi?
«È una situazione che induce anche effetti psicologici, ma per questo siamo convinti che il governo abbia ragione a dire niente panico e riteniamo che sarebbe un errore reagire immediatamente introducendo tariffe all’import dagli Stati uniti. Questo non solo per evitare un’escalation, ma soprattutto per non creare ulteriore danno alla nostra economia e alle nostre imprese».




















































Quali ulteriori danni?
«L’introduzione di contro-dazi all’import Usa innescherebbe un incremento dei prezzi sul nostro mercato maggiore di quello che si può prevedere oggi, oltre a maggiori difficoltà per le aziende che fanno import e distribuzione, e anche problemi di approvvigionamento per il settore manifatturiero. E alla fine assisteremmo a un’ulteriore erosione del nostro Pil e a un aumento dell’inflazione. Le imprese hanno prima di tutto bisogno di meno incertezza. Anche per questo è meglio attendere che la situazione si stabilizzi».

Ma aspettare quanto?
«Io dico almeno un anno, prima è impossibile capire cosa stia davvero succedendo, al di là delle proiezioni».

E nel frattempo cosa si dovrebbe fare?
«La politica commerciale verso i Paesi terzi è di competenza esclusiva dell’Unione europea. È a quel livello che si deve negoziare con gli Stati uniti,non soltanto perché siamo anche parte di un’unione doganale, ma anche per far pesare l’Europa come merita, cioè come un mercato evoluto popolato da di circa mezzo miliardo di consumatori. Non è un dettaglio».

Quindi non una mossa italiana autonoma?
«No, ma è anche necessaria una politica commerciale europea di liberalizzazione dei mercati e condivisione delle regole. Accelerare le procedure per il libero scambio con il Mercosur, i negoziati con India, Indonesia, Malaysia, Australia per accordi commerciali, aprire un tavolo con la Cina e ridare vigore al multilateralismo, restituendo centralità all’Organizzazione mondiale del commercio».

Ma intanto cosa succederà nei negozi di Milano?
«C’è il rischio di maggiori costi che, in parte, possono essere assorbiti dall’impresa, ma in parte finiscono inevitabilmente sul conto dei consumatori. E chi lavora molto con gli Stati uniti o riduce quella quota di mercato o rischia di vendere meno».

Aumentano i prezzi?
«Eh sì, e il nostro timore è che questo si traduca in una riduzione dei flussi turistici americani su Milano».

Perché?
«Torniamo alla dimensione psicologica del commercio: chi vede i prezzi dei prodotti italiani aumentare a casa sua può essere poco invogliato a venire qui. Il ragionamento è: “Ma chi me lo fa fare di andare in un Paese così caro?”. E questo sarebbe un problema serio, perché la domanda interna è già stagnante da tempo e il mercato del turismo ha aiutato Milano a mantenere la linea di galleggiamento. Dovesse contrarsi questa quota di mercato, allora saremmo in seria difficoltà».

7 aprile 2025



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