Bussola per la competitività


L’Unione Europea è in cerca di una nuova via di leadership e competitività globale. Il percorso è quello già in parte delineato nei rapporti di Mario Draghi ed Enrico Letta su competitività e Mercato unico, presentati nel corso dell’anno passato. Cercare di rilanciare le nostre economie attraverso una politica comune decisa e orientata al supporto dell’innovazione: è in parte la fisionomia del Competitiveness Compass, la nuova Bussola per la Competitività su cui è al lavoro la Commissione Europea. 

«Il piano, presentato alla fine di gennaio, rappresenta il primo documento strategico di policy della Commissione Von der Leyen II. In totale, prefigura quasi 50 azioni da dispiegarsi nei prossimi due anni», dice Massimo Gaudina, Special Advisor della European Training Foundation, già capo della Rappresentanza della Commissione europea a Milano e membro della Task-Force Innovazione a Bruxelles.

«Il progetto è articolato in tre pilastri: la riduzione del gap di innovazione nei confronti dei nostri maggiori competitor mondiali, la decarbonizzazione e infine la sicurezza e autonomia strategica. Nelle ultime settimane alcune di queste azioni sono già state adottate: pensiamo alla Savings and Investments Union, che comprende il completamento del Mercato dei capitali, alla “Union of skills” nel campo delle competenze e della formazione, al Libro bianco sulla difesa o alle AI giga-factories.

Il primo pilastro è l’innovazione: quali sono gli ostacoli da superare?

«A inizio giugno sarà presentata la nuova strategia Europea per Startup e Scaleup, che rappresenterà il quadro d’insieme per ulteriori iniziative specifiche, di tipo normativo, finanziario e di policy. Come sottolineato già dal rapporto Draghi e ribadito anche nella recente consultazione pubblica organizzata dalla Commissione Europea sulle Startup, le realtà promettenti e il grande potenziale europeo in questo campo sono frenati da svariati ostacoli. Su tutti, il difficile accesso ai capitali – gli investimenti in Venture Capital prediligono le imprese americane –  frammentazione tra 27 sistemi normativi diversi, alti costi di ristrutturazione in Europa e eccessi di burocrazia che rendono la vita difficile alle giovani aziende innovative, per esempio nell’accesso agli appalti pubblici.

Questi problemi si manifestano non tanto al momento della nascita delle Startup, quanto piuttosto nella loro fase di crescita e possibile espansione in altri Paesi europei: come ricordato da Mario Draghi, in Europa nascono ogni anno più Startup che negli USA – circa 15.000 mila contro circa 13.700 – ma quando si contano le Scaleup o gli unicorni lo scenario globale cambia. Solo l’8% si situa nella UE contro il 60% negli USA».

Come saranno affrontate queste tematiche nella nuova strategia?

«La nuova strategia affronterà queste tematiche. Per esempio, sul lato dell’accesso ai capitali, saranno proposte iniziative di carattere pubblico-privato, anche con l’intervento della Commissione europea e della Banca europea degli investimenti, per incentivare e ridurre i rischi legati a investimenti privati.Sarà proposto per tutte le imprese innovative il cosiddetto 28esimo regime, un sistema unico paneuropeo che le imprese potranno scegliere per scavalcare gli ostacoli di 27 regimi diversi anche in tema di diritto societario o fallimentare. Uno European Innovation Act introdurrà ulteriori proposte legislative in tema di proprietà intellettuale, accesso alle infrastrutture e agli spazi di sperimentazione, mentre le norme sugli appalti pubblici saranno riviste per facilitare la partecipazione di imprese innovative e per introdurre, in settori critici, la preferenza al Made in Europe.

In molti casi, si tratta di proposte che dovranno passare il vaglio dei 27 Paesi al Consiglio e del Parlamento europeo, ma l’urgenza e la criticità di queste questioni, che sono al cuore dell’innovazione, della competitività e quindi della prosperità del nostro continente, dovrebbe costituire un interesse comune».

Quali iniziative saranno varate dall’Europa per restare in corsa nel campo dell’AI?

«Anche qui, la competizione globale è agguerrita, ma la Bussola annuncia un’ambiziosa strategia continentale, con iniziative di alto profilo. In primis, il progetto di AI factories, che permetterà a tutte le Startup, i ricercatori e le imprese europee di accedere alla rete comune di supercomputer HPC per sviluppare e migliorare i loro modelli di AI. Inoltre, la Presidente von der Leyen ha recentemente annunciato InvestAI, una grande mobilitazione di investimenti pubblici e privati (200 miliardi di €) per la creazione di AI giga-factories specializzate nell’addestramento di “very large and complex AI models”. Si tratta di una sorta di “CERN dell’Intelligenza Artificiale”, con l’obbiettivo di rendere possibile l’accesso a queste enormi opportunità a tutte le aziende, grandi e piccole.

Oltre all’AI, la Commissione lancerà nel corso dell’anno nuove strategie e iniziative in altri due settori chiave: le tecnologie quantistiche, con un apposito Quantum Technologies Act, e i dati, con una nuova strategia sui dati a supporto dell’AI. Anche la bioeconomia, lo spazio e i materiali innovativi, considerati i nuovi motori della crescita economica, saranno oggetto di iniziative specifiche, così come le infrastrutture digitali (satelliti, 6G, cloud computing) che forniranno l’ossatura delle connessioni del Mercato unico».

Il piano si avvarrà anche della Savings and Investments Union lanciata di recente dalla Commissione. Quale sarà il ruolo dell’iniziativa?

«Il punto di partenza è il bisogno di convogliare almeno una parte degli ingenti risparmi privati – circa 300 miliardi di euro all’anno – in investimenti e progetti comuni. Anche grazie all’apporto di investitori istituzionali e ad altre misure, ci si propone di aumentare investimenti in equity e capitale di rischio, per rafforzare la solidità delle imprese innovative. Vi saranno anche nuovi meccanismi per finanziare tecnologie innovative e dirompenti (ad esempio il TechEU investment programme) e un rafforzamento dello European Innovation Council, che prevede già ora co-investimenti di risorse UE in imprese innovative selezionate attraverso l’EIC Fund.

Tra le molte aree di intervento della Savings and Investments Union, ricordiamo anche i conti di risparmio e investimento e le pensioni complementari. Per i primi, che esistono già in alcuni dei 27 Paesi membri, la Commissione proporrà entro ottobre di quest’anno misure legislative e non legislative per creare un progetto europeo di conti o prodotti di risparmio e investimento, insieme a raccomandazioni ai singoli Paesi sul loro trattamento fiscale.

Quanto ai fondi pensione, entro la fine di quest’anno arriverà una propposta di revisione delle attuali regole IORPs (Institutions for Occupational Retirement Provision) e PEPP (Pan-European Personal Pension Product), con l’obiettivo di aumentare la partecipazione a schemi pensionistici supplementari, che si potranno tradurre sia in maggiori introiti per i pensionati sia in maggiori investimenti produttivi e innovativi da parte dei fondi pensione. Se gli investimenti privati beneficeranno di meccanismi nuovi per iniettare risorse nell’innovazione Made in Europe, anche le risorse pubbliche dei 27 avranno un ruolo importante da giocare, per raggiungere il famoso obbiettivo del 3% complessivo di PIL (pubblico + privato) da investire in ricerca e innovazione. Attualmente  solo 4 Paesi membri hanno superato la soglia».

Oltre al capitale finanziario, per la competitività è anche importante il capitale umano. Cosa ci si propone di fare in questo campo?

«L’Europa è indubbiamente una fucina di talenti e di competenze avanzate in molti campi, ma occorre affrontare diverse criticità, dalla fuga dei cervelli allo skills gap tra domanda e offerta di profili professionali, dalle competenze digitali a una maggiore partecipazione femminile nelle discipline STEM. L’iniziativa-faro Union of Skills della Commissione affronta tutti i segmenti della formazione e delle competenze, dall’istruzione primaria fino al lifelong learning.

Rafforzare e aggiornare le competenze degli europei rappresenta un grande investimento di lungo periodo: due aziende su tre, infatti, dichiarano di avere difficoltà a trovare i giusti profili sul Mercato del lavoro in Europa. Si tratta di mappare, sviluppare, aggiornare e accreditare le competenze necessarie ai lavori di oggi e di domani. Anche l’immigrazione legale di forza lavoro qualificata può rappresentare una risposta a questa sfida. Su questi temi è attiva in Italia un’agenzia europea, basata a Torino (European Training Foundation), che lavora con i Paesi a noi vicini, dai Balcani al Mediterraneo, dall’Ucraina all’Africa, per rafforzare i loro sistemi di formazione e lavoro in un’ottica di stabilizzazione e crescita locale, ma anche in prospettiva di contributo al Mercato del lavoro europeo».

Un altro pilastro del piano è la decarbonizzazione. Si tratta di una scelta non priva di critiche: molti nel panorama industriale italiano – in primis lo stesso presidente di Confindustria Emanuele Orsini – si dicono scettici riguardo agli obiettivi verdi europei. Renderli compatibili con ambizioni di competitività è possibile?

«Una prima risposta è stato il Clean Industrial Deal, presentato a genanio, che si propone di rafforzare il ruolo di leadership dell’Unione europea nelle tecnologie pulite, anche a fronte del caro-energia e della concorrenza sleale di alcuni Paesi extra-europei. Questo pacchetto di misure si focalizza soprattutto nei settori delle industrie ad alta intensita’ energetica e nel clean tech, entrambi generatori di crescita economica ed occupazione, oltre che di contributo alla decarbonizzazione.

Tra le molte misure proposte possiamo ricordare un nuovo regime di aiuti di Stato per le tecnologie pulite, nuovi finanziamenti quantificati in 100 miliardi di euro, anche attraverso meccanismi pubblico-privati, o ancora il rafforzamento dello European Innovation Fund. Si propongono inoltre misure per ridurre gli oneri amministrativi per le imprese, semplificare e rafforzare l’economia circolare e una nuova banca per la decarbonizzazione industriale. Crescere e al tempo stesso decarbonizzare è possibile: negli ultimi 30 anni il PIL europeo è cresciuto di circa il 60 % mentre le emissioni di CO2 sono calate di oltre il 30%. E questo è stato possibile anche grazie all’innovazione e alle tecnologie verdi».

Quali altri aspetti del Competitiveness Compass  sono essenziali alla realizzazione di ciascuno dei tre pilastri?

«Sono state presentate altre condizioni abilitanti di natura orizzontale, che potranno positivamente impattare sia sull’innovazione delle imprese, sia sugli investitori. La prima parola chiave è semplificazione. Un concetto non nuovo, ma ora realmente tradotto in atti concreti, a partire dalla recente proposta di Direttiva Omnibus che riduce gli oneri amministrativi, di reporting e di “due diligence” soprattutto per le PMI. Inoltre, la Bussola cita una futura riforma del bilancio pluriennale dell’UE (quello attuale termina nel 2027), più orientato a sostenere la competitività e le tecnologie anche attraverso la creazione di un Competitiveness Fund, per il sostegno e il derisking degli investimenti privati, in modo complementare agli interventi già sostanziosi della Banca europea degli investimenti (BEI). La competitività è il focus centrale del piano, così come lo era stato per il rapporto presentato alla Commissione da Mario Draghi.

Le raccomandazioni dell’ex numero uno BCE sono accolte in questo testo?

«Molte delle proposte del rapporto Draghi sono state inserite. Basti pensare al ventottesimo regime per le imprese innovative, alla semplificazione degli oneri amministrativi, al rafforzamento della cooperazione università-imprese, a all’accento sulle competenze e la formazione. Leggendo il piano della Commissione, appaiono anche chiari i legami tra politiche commerciali, economiche, industriali, di decarbonizzazione e di concorrenza, proprio come auspicato da Draghi».

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📸 Credits: Canva  

Articolo tratto dal numero del 1 maggio 2025 de il Bollettino. Abbonati!





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