La fine dei maxi-sconti fiscali per i milionari nel Regno Unito porta i grandi patrimoni verso l’Italia.
Il regime fiscale cosiddetto «non dom» è scaduto solo lo scorso 4 aprile, ma dall’annuncio di oltre un anno e mezzo fa dell’allora governo inglese di Rishi Sunak oggi, secondo gli esperti fiscalisti sono circa 1.500 gli imprenditori, i redditieri e coloro i quali hanno patrimoni legati a un trust, che si sono trasferiti nel Bel Paese. Sfruttando la flat tax sui redditi di fonte estera a 200mila euro e il visto speciale per gli investitori stranieri.
La maggior parte vengono proprio da Londra e dintorni: da ultimo il patron dell’Aston Villa, Nassef Sawiris, l’uomo più ricco d’Egitto che si è trasferito nel Nord Italia dopo aver beneficiato di tasse quasi azzerate nel Regno Unito per un decennio. E nei prossimi anni, seppur a un ritmo più lento, potrebbero arrivare altre 4.500 persone facoltose dall’estero, anche da Francia, Medio Oriente, Messico e Sud America. Generando oltre un miliardo tra tasse versate all’Agenzia delle Entrate e un indotto per tutta l’economia italiana. D’altronde l’Italia è stata certificata dall’Henley Residence Program Index 2025 come il quinto Paese più attrattivo al mondo per chi ha grandi patrimoni dopo gli Emirati Arabi, gli Stati Uniti, Singapore, il Canada e l’Australia.
I BENEFICI
Un vero e proprio boom, considerando che dal 2017 (anno dell’avvio del regime fiscale straordinario in Italia) a inizio 2024 (nonostante la flat tax italiana fosse più bassa, a quota 100mila euro) c’erano stati solo 2.500-3.000 ingressi. Sono i tributaristi a stimare il cambiamento numerico dei flussi visto che i dati ufficiali in Italia sono fermi al 2022. E gli esperti dello studio Maisto e Associati hanno monitorato gli spostamenti negli ultimi mesi, fino al decreto dello scorso 6 marzo dell’attuale governo inglese del laburista Keir Starmer, che ha abolito definitivamente il «non dom». Ma andiamo con ordine. Dal 1799 nel Regno Unito esisteva un regime fiscale agevolato per i cosiddetti «non dom», cioè gli stranieri che trasferiscono la residenza nel Paese ma mantengono il domicilio in un’altra nazione.
Per loro, fino a oggi, è stato possibile pagare poche tasse per otto anni. Si versavano cioè solo le imposte su quanto prodotto nel Regno Unito e non per redditi o capital gain prodotti all’estero. A meno che i soldi non venivano riportati Oltremanica, ad esempio per comprare casa. Dal nono anno si iniziavano a pagare 30mila sterline ogni dodici mesi, poi si cresceva gradualmente fino a 60mila. Arrivando a coprire in tutto 15 anni. Dallo scorso 4 aprile è stato introdotto un nuovo regime fiscale: l’esenzione totale su redditi e plusvalenze estere (solo per chi è stato residente in un altro Paese per 10 anni) dura quattro anni, ma senza la tassazione extra su quanto verrà portato nel Paese in un secondo momento. L’obiettivo dell’esecutivo Starmer è mediare tra equità fiscale e vantaggio competitivo nell’attrarre capitali esteri, con entrate per lo Stato inglese previste comunque per 3 miliardi di sterline all’anno fino al 2029.
Contemporaneamente è stata inasprita la tassa sulle successioni (che in alcuni casi arriva fino al 40%), colpendo anche quei patrimoni prima “protetti” da trust (cioè da quei fondi fiduciari creati proprio per aggirare le imposte). Le stime degli esperti parlano di circa 45mila persone che perderanno i benefici fiscali di cui godevano da molti anni. In Italia, dal 2017, ogni cittadino europeo (o chi è espatriato), se in almeno nove anni all’estero ha accumulato un’elevata capacità di spesa, può tornare e diventare per la prima volta residente con condizioni di favore. Può insomma pagare una sorta di flat tax che copre tutti i redditi prodotti all’estero. La tassazione snella, decisa dall’allora governo Renzi non senza polemiche (visto il dislivello rispetto alle aliquote ordinarie che gravano sulle classi medio-basse), valeva 100mila euro all’anno per massimo 15 anni (alzati dal governo Meloni a 200mila euro). Il reddito prodotto in Italia viene invece integralmente tassato al pari di qualsiasi residente ordinario italiano. Sempre dal 2017 esiste l’Investor Visa, un visto straordinario di due anni (poi rinnovabile di tre anni in tre anni) per gli investitori stranieri, con diverse soglie economiche: 250mila euro in startup innovative, 500mila in società italiane, 2 milioni in titoli di Stato e 1 milione di euro in donazioni a progetti di interesse pubblico.
Secondo la Corte dei Conti fino alla fine del 2023 non si era visto il presunto effetto-volano con più investimenti produttivi in Italia, ma le cose ora sembra che inizino a cambiare. «Un 10-20% dei 45mila coinvolti dalle restrizioni fiscali nel Regno Unito – spiega Marco Cerrato, partner di Maisto e Associati – hanno già lasciato o pensano di lasciare il Paese: parliamo di un numero che può arrivare fino a circa 10mila persone che diventeranno residenti in Italia, Svizzera, Monaco, Emirati e Grecia. Questo, assieme al fatto che non ci sarà più la concorrenza del sistema agevolato inglese, ci porta a pensare che gli arrivi in Italia nei prossimi anni potranno raddoppiare o triplicare rispetto ai livelli di fine 2023, anche se il ritmo annuale sarà più contenuto rispetto a quello che abbiamo constatato tra 2024 e 2025. Il numero complessivo dei neoresidenti beneficiari della flat tax potrebbe quindi arrivare anche a quota 9mila soggetti attirati, con un potenziale maggiore gettito fiscale e indotto da oltre 1 miliardo». Secondo Cerrato, poi, «il passaggio della flat tax a 200 mila euro non ha creato disorientamento, perché è stata invece vista come una sostanziale conferma del vecchio regime fiscale: a trasferirsi infatti è chi è molto facoltoso, dopo la vendita di aziende o dopo aver ereditato somme importanti. Ma anche beneficiari di trust, chi ha realizzato liquidità con attività imprenditoriali o immobiliari, soggetti del mondo dell’entertainment o manager di banche. Molti hanno già costituito società e assunto personale». C’è anche chi opera nell’asset management, nel settore assicurativo e nel private equity. Il progetto inglese di far salire la tassazione sulla quota di profitto che quest’ultimi guadagnano sulle vendite di asset nel Regno Unito al 45% non è diventato realtà, ma rimane sul tavolo del governo britannico. Finora Milano si è affermata come destinazione principale, accogliendo circa il 50% dei nuovi residenti facoltosi, con un flusso crescente da Londra. Ma anche Roma, la Toscana e la zona dei laghi attraggono questo genere di persone. Sempre secondo lo stesso Henley Residence Program Index 2025, quanto a valore relativo dei più rinomati programmi di residenza tramite investimento a livello globale, l’Italia è al terzo posto al mondo dopo Grecia e Svizzera.
La qualità della vita italiana, insomma, nonostante le storiche criticità del Paese, viene percepita positivamente. Finora al livello di Unione europea il tema della concorrenza fiscale è stato circoscritto agli aiuti di Stato verso le imprese per evitare che si trasferiscano solo in certo luogo. Per le persone fisiche e i grandi patrimoni questo approccio ancora non c’è.
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