Per il 53% delle aziende italiane il clima non è un rischio


Più di un’impresa manifatturiera su due in Italia non considera il cambiamento climatico un fattore critico per la gestione aziendale. Mentre meno del 25% ha investito in soluzioni green negli ultimi tre anni.

Questo scenario emerge da un’indagine sulla capacità delle aziende di rispondere ai rischi climatici, condotta nell’ambito del progetto Grins (Growing Resilient, Inclusive and Sustainable). Finanziato con 115 milioni di euro dal PNRR, il progetto coinvolge 13 università pubbliche, 14 partner privati (tra cui Intesa Sanpaolo, Prometeia ed Exprivia) e un team di oltre 500 ricercatori suddivisi in nove aree tematiche. Lo studio analizza la sostenibilità delle imprese e delle famiglie, le politiche di decarbonizzazione, l’inclusione sociale e la finanza sostenibile, ponendo le basi per strategie mirate a rafforzare la resilienza del sistema produttivo nazionale di fronte ai cambiamenti ambientali.

L’analisi, che ha coinvolto 9.630 aziende non quotate in cinque regioni italiane (Emilia-Romagna, Piemonte, Veneto, Lazio e Toscana), mette in evidenza una tendenza diffusa alla scarsa reattività nei confronti dei rischi climatici. La strategia prevalente sembra essere il “wait & see”, con molte imprese che non hanno effettuato investimenti tra il 2021 e il 2023, né prevedono di farlo nei prossimi tre anni.

“Il dato che ci ha colpito di più” ha spiegato Vera Palea, docente dell’Università di Torino e coordinatrice nazionale del gruppo di lavoro 4 dello Spoke 1 “ è che il 53% delle imprese ritiene che il cambiamento climatico non abbia impatti rilevanti sull’attività. Abbiamo riscontrato atteggiamenti attendisti non solo sugli investimenti passati, ma anche su quelli futuri. Questo segnala problemi di capacità interna, accesso alle informazioni e priorità strategiche.” Infatti risulta che solo il 13,2% ha investito per ridurre il rischio fisico acuto (alluvioni, grandinate), il 7,5% per il rischio fisico cronico (siccità, temperature elevate), e il 25,4% per mitigare i rischi legati alla transizione energetica e alle nuove normative ambientali.

Italia senza modelli virtuosi per il cambiamento climatico: il divario tra regioni

A livello territoriale, nessuna delle cinque regioni analizzate emerge come modello di resilienza climatica. Nonostante eventi estremi come il sisma del 2012 e l’alluvione del 2023, l’Emilia-Romagna registra livelli di investimento inferiori alla media nazionale, con solo il 22,4% delle imprese che ha investito nella transizione ecologica, il 17,3% in eventi acuti e il 7,3% per i rischi cronici.

Il Piemonte presenta dati ancora più critici, con l’80% delle imprese che non ha investito e non ha intenzione di farlo. Il Veneto mostra percentuali leggermente superiori, con il 27% delle imprese impegnate nella transizione, il 19% negli eventi acuti e il 10% nei rischi cronici. Il Lazio si ferma invece al 21,7% per la transizione ecologica, mentre la Toscana registra il dato più alto su questo fronte (36%), anche se mancano dati aggregabili sui rischi fisici.

Poche imprese proattive, molte hanno bassa propensione agli investimenti green

Il progetto ha classificato le imprese in quattro categorie strategiche: attendiste, pianificatrici, previdenti e proattive. Le aziende proattive, che rappresentano appena il 7% del campione, si distinguono per una strategia chiara e continuativa di investimenti green, avendo già destinato risorse alla sostenibilità e pianificando ulteriori interventi per il futuro. Queste imprese vedono la transizione ecologica non solo come una necessità, ma come un’opportunità per innovare e migliorare la propria competitività sul mercato.

Al contrario, le aziende attendiste, che costituiscono circa il 45% del totale, mostrano una bassa capacità di reazione ai cambiamenti climatici e una scarsa propensione agli investimenti green. Questa categoria si caratterizza per una mancanza di accesso a informazioni strategiche e una limitata consapevolezza dell’impatto che la sostenibilità può avere sul proprio business. Molte di queste imprese operano senza una strategia definita e rimandano decisioni cruciali, esponendosi al rischio di perdere vantaggio competitivo nel medio-lungo termine.

Le aziende pianificatrici e previdenti si collocano in una posizione intermedia: le prime hanno elaborato strategie di adattamento, ma devono ancora implementarle concretamente, mentre le seconde hanno già adottato misure di mitigazione, anche se non con la stessa continuità delle imprese più avanzate.

Una soluzione digitale per mappare la vulnerabilità al cambiamento climatico

Uno degli output principali del progetto sarà la piattaforma Amelia, prevista in uscita a novembre, che integrerà indicatori economici, climatici e ambientali per valutare la vulnerabilità e la prontezza di imprese e territori. L’obiettivo è offrire uno strumento open data georeferenziato, utile sia per le istituzioni che per il sistema produttivo.

Con Exprivia e Fondazione Links, il team sta sviluppando dashboard interattive per aiutare le imprese a valutare il proprio posizionamento competitivo in chiave ESG. Inoltre, grazie alla collaborazione con Reply, è in fase di sviluppo un progetto di intelligenza artificiale per analizzare i bilanci aziendali e individuare segnali di esposizione ai rischi climatici. La ricerca evidenzia come la consapevolezza climatica delle imprese italiane sia ancora insufficiente. Senza investimenti adeguati, le aziende rischiano di trovarsi impreparate di fronte agli effetti sempre più evidenti del cambiamento climatico e delle normative ambientali. La sfida futura sarà riuscire a tradurre la consapevolezza in azioni concrete, evitando che il “wait & see” si trasformi in una mancata competitività sul lungo termine.



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