La geopolitica è diventata centrale per le imprese (anche quelle piccole)


Può la geopolitica diventare una leva di valore per le aziende, e non solo un rischio da gestire? La pandemia, la guerra in Ucraina, le tensioni tra Stati Uniti e Cina, la crisi delle supply chain e la corsa alle materie prime: negli ultimi anni, la globalizzazione ha lasciato spazio a un nuovo scenario fatto di incertezze, conflitti e barriere. Le imprese italiane – dalle pmi alle multinazionali – si trovano a navigare tra guerre commerciali, crisi energetiche, sanzioni, nuove alleanze e cambi di regime che possono stravolgere in poche settimane strategie costruite in decenni. Nel libro “Geopolitica per le imprese” (Egea), il politologo Marco Valigi spiega perché nessuna azienda può più permettersi di ignorare la geopolitica.

Valigi è specializzato in Relazioni internazionali, insegna presso l’ESCP Business School e all’Università Cattolica. Nel libro distingue tra la geopolitica come disciplina accademica e la geopolitica applicata al business, mostrando come la comprensione dei contesti internazionali sia ormai indispensabile per prendere decisioni informate, proteggere le supply chain, cogliere opportunità e prevenire crisi.

Qui pubblichiamo un capitolo del libro, dedicato alle imprese medie e piccole.

 

Quando si parla di geopolitica con riferimento al business, l’idea prevalente è che si tratti di uno strumento per aziende di dimensioni notevoli, connotate da capacità economiche estese. In realtà, si tratta di una falsa correlazione basata su elementi del tutto incidentali.

La geopolitica è una disciplina che è stata formalizzata in un contesto differente dagli studi d’impresa. Se è stata recepita da qualche azienda, dunque, è stato sulla base di ragioni pragmatiche, perché era utile o funzionale a certi scopi. Budget e dimensioni, quindi, non sono le cause primarie sottostanti il suo eventuale approdo al mondo del business. Allo stesso tempo, va detto però che aziende connotate da carenze organizzative e bilanci claudicanti difficilmente si attrezzeranno con una funzione eccentrica rispetto a quelle convenzionalmente necessarie come la geopolitica.

Non è raro che aziende coinvolte in tipi di business, per i quali grandi dimensioni e budget imponenti costituiscono le condizioni preliminari dell’attività d’impresa, abbiano scelto di avvalersi della geopolitica come strumento di supporto ai processi decisionali. Probabilmente però la ragione che ha unito budget, dimensioni aziendali e geopolitica dipendeva dai mercati o dai settori. Questi ultimi, infatti, e non la dimensione dell’azienda richiedevano risorse pienamente strutturate – materiali, organizzative, oppure analitiche come nel caso della geopolitica – e non il contrario.

Pensiamo al caso di una compagnia petrolifera. Tracciare un oleodotto significa progettare un’infrastruttura mastodontica, complessa da realizzare, che attraversa i territori di una pluralità di Stati, con rischi, tempi di realizzazione e costi che solo una lunga operatività sarà in grado di ripagare. Di fronte a un’impresa simile una pianificazione meticolosa risulta cruciale e coinvolge risorse, know-how e interessi dei più variegati (geologia ingegneria, finanza, diritto – interno e internazionale – politica – o geopolitica) visto il numero di Stati e attori non istituzionali coinvolti in ciascuna fase. Le dimensioni di aziende che si cimentano in progetti simili saranno giocoforza ragguardevoli, così come i budget. Tuttavia, la presenza o assenza di un approccio geopolitico in questo genere di business, non è questione di dimensioni. Piuttosto, il tipo di contesti e di circostanze che le imprese devono affrontare per operare in quel settore, credo, plasmino i loro metodi e i loro comportamenti.

Ho scelto come esempio quello di una compagnia petrolifera e della costruzione di un oleodotto non perché abbia la certezza che dietro a quei progetti ci sia il tipo di riflessione alla quale ci stiamo riferendo. Un oleodotto o un gasdotto, infatti, sono opere il cui significato è intrinsecamente geopolitico. L’elemento geopolitico, quindi, in genere si colloca a monte del progetto e non necessariamente a livello di singola impresa. Il punto nodale, tuttavia, è che un business come quello energetico costituisce un caso estremo per l’entità degli investimenti e degli studi preliminari, per il livello di rischio, così come per la complessità organizzativa ed esecutiva. Per dirla con una metafora sportiva, in quel tipo di gioco o si includono metodologie, analisi e riflessioni orientate a formulare e validare delle ipotesi legate alla relazione tra ambiente internazionale e locale, oppure non si scende neppure in campo.

In altri casi, anzi nella maggior parte, ci sono invece delle scappatoie. L’assenza di barriere all’ingresso, per cominciare, ma soprattutto un numero incomparabilmente inferiore di fonti di rischio, incrementano da un lato il numero delle circostanze in cui la sorte possa essere favorevole anche a degli acuti improvvisatori, dall’altro, sulla scorta magari di alcuni successi, la credenza che certi strumenti analitici siano superflui. In tipi di business nei quali l’investimento iniziale è limitato, la percezione che allocare risorse sulla preparazione preliminare e sullo studio sistematico delle mutazioni di contesto erodano i margini e sottraggano risorse al business stesso, purtroppo, è radicata.

Tra attività a basso tenore di investimento e propensione a dedicare risorse all’analisi dell’ambiente estero all’impresa, addirittura, ritengo che possa esserci una correlazione inversa. L’atteggiamento è intuitivo non meno che errato, come dimostrerà un esempio tratto da una situazione che potrebbe accomunare molti di noi. Quando esco in moto per fare il tragitto casa-ufficio non mi vesto con i medesimi indumenti protettivi che indosso quando vado a girare in pista; né studio il tracciato, le condizioni del fondo e il meteo. Eppure, i rischi sono i medesimi se non superiori. Per l’esattezza, i rischi legati alle velocità e alle conseguenze di portare un mezzo meccanico al limite sono inferiori. Tutti gli altri, invece, sono superiori o addirittura non ponderabili. La logica intuitiva, tuttavia, mi suggerirà che si tratta «solo» del tragitto casa-ufficio. Semplice quanto letale. I rischi maggiori che corriamo sono infatti quelli che, nella normalità delle azioni quotidiane, la nostra mente ignora, i nostri occhi di conseguenza non vedono e, infine, i nostri comportamenti non contrastano.

Gli atteggiamenti che ho sommariamente descritto non hanno a che fare con le dimensioni delle imprese, ma con l’estensione delle vedute di chi le governa. Tra la capacità di servirsi dell’analisi geopolitica o un approccio che la contempli e ne sappia fare un mezzo per creare valore e la stazza di un’impresa, si potrà cogliere un’analogia – niente altro. Sarebbe errato parlare di una relazione. Tra le dimensioni di un’azienda, la sua governance, la visione dei vertici e i metodi di elaborazione delle strategie, infatti, non sussistono nessi di causalità. Non tutti i tipi di business necessitano di strumenti analitici e cognitivi come la geopolitica, sia chiaro. Non è raro quindi che sia menzionata con leggerezza in circostanze non pertinenti. Di contro, un certo modo di condurre le imprese tende a favorire l’integrazione di quello strumento nella governance.

In questa prospettiva, in particolare, trovo sensato, adattando un suo pensiero al business, parafrasare Charles De Gaulle affermando che solo alle aziende di grandi dimensioni è concesso il lusso di essere prive di una grande visione. Qualunque altro tipo d’impresa, se mancasse di una grande visione, sarebbe condannata all’irrilevanza e, quanto prima, a sparire.

[…] In primo luogo, l’analisi geopolitica o un metodo di governo d’impresa che la includa non sono peculiari delle multinazionali e di imprese estese. Secondariamente, data la globalizzazione complessa in cui siamo immersi, una visone d’impresa ampia e una condotta imprenditoriale accorta presupporrebbero una lettura geopolitica del contesto.

Geopolitica. Un asset per le imprese medie e piccole
Sostenere che l’analisi geopolitica rappresenti un asset per le imprese medie e piccole è un’affermazione controintuitiva. Come prima reazione, è naturale avere un moto di scetticismo. La geopolitica, per la sua impostazione analitica, potrebbe sembrare un metodo più idoneo a organizzazioni complesse e articolate, con bilanci in grado di assorbire senza difficoltà una funzione non direttamente legata alla produzione. Eppure, a uno sguardo appena più attento, reputo che il lettore non faticherà ad accogliere una chiave interpretativa differente. Torniamo al tema delle dimensioni. Affermare che un’impresa ampia potrebbe accogliere più facilmente una funzione geopolitica, in generale, è corretto. In una struttura di per sé già complessa e con bilanci imponenti, i costi e l’impatto di un’eventuale aggiunta, per così dire, risulteranno proporzionalmente lievi rispetto al caso di un’impresa meno articolata. Difficilmente nel caso di una struttura ampia, mancherà budget da allocare su una figura di consigliere geopolitico – come ha illustrato Stefano Malferrari nel caso del ricorso ai consigli di Edward Luttwak. Inoltre, come ha rammentato Alessia Canfarini, in contesti decisionali diffusi, è il conformismo che tende a prevalere, non l’innovazione radicale. L’introduzione della geopolitica potrà modificare parzialmente i processi decisionali e i loro esiti rispetto al loro corso normale. Altrettanto improbabile, quindi, sarà l’eventualità che tali analisi mettano a repentaglio la sopravvivenza dell’impresa stessa, poiché non si tratterà di stravolgimenti ma al massimo di aggiustamenti.

Se, come abbiamo affermato, nel caso di una multinazionale le aleatorietà collegate alla creazione di una funzione geopolitica paiono minime, anche l’impatto che quel ruolo avrà rispetto alla pianificazione strategica e all’analisi del rischio tenderà a risultare complementare. A fronte di una maggiore sostenibilità economica e strategica, il valore marginale a esso collegato tenderà a decrescere in aziende di grandi dimensioni. In realtà più circoscritte, invece, se la strategia si legherà alla geopolitica gli effetti saranno assai più profondi e tangibili.

Nel caso delle grandi aziende, l’impatto più circoscritto dell’analisi geopolitica non dipende dalla funzione aziendale che vi si associa, quanto da un esito collegato alle caratteristiche della struttura aziendale e alla sua estensione. Nella diffusione dell’azionariato come della governance, infatti, le aziende di grandi dimensioni individuano un importante – se non il principale – meccanismo di mitigazione del rischio. Detto altrimenti, in casi simili, tutte le funzioni collegate alla strategia tendono a essere rilevanti – si tratta di un effetto aggregato. Singolarmente presa, tuttavia, nessuna di loro sarà determinante. La domanda da porsi dinnanzi a questo tipo di attori, dunque, non è quale peso possa avere la geopolitica rispetto alla pianificazione strategica – quello varierà da un’impresa all’altra –, ma piuttosto perché in aziende in cui non si rinuncia a una fornitura di cancelleria o a gadget personalizzati che probabilmente finiranno nei cestini, invece, alle volte manchi quella funzione.

A maggior ragione, quando in un mondo complesso e politicamente schizofrenico la scelta di attrezzarsi in tal senso dovrebbe essere intuitiva. Si potrà chiamare in causa la cultura manageriale, una limitata consapevolezza rispetto all’uso di uno strumento che, nella peggiore delle ipotesi, migliorerà comunque la comprensione del contesto esterno da parte dei decisori, oppure di un’allocazione di risorse che definisca come altre le proprie priorità. Nessuna di queste risposte, pur logiche, sarà tuttavia in grado di fornire una valida motivazione per la quale oggi un’azienda di grandi dimensioni dovrebbe rinunciare all’analisi geopolitica. Eppure, si tratta di una situazione più frequente di quanto ci si possa immaginare. Strutture grandi e complesse hanno una capacità di assorbimento maggiore di quelle più piccole, tendono a muoversi molto più per inerzia e, fino a una certa soglia, a scaricare sull’organizzazione stessa gli effetti di eventuali inefficienze le quali, appunto, in termini relativi peseranno meno sulla performance complessiva. Veniamo ora al caso delle imprese medie e piccole, però.

Per questi attori attivare o meno una funzione geopolitica costituisce una decisione più impattante – in primo luogo in materia di struttura organizzativa e in termini di processo decisionale; in secondo, sul versante dei costi, soprattutto perché la questione tende a porsi in termini più di costi-opportunità. Dal punto di vista dell’organizzazione, una realtà aziendale di entità medio-piccola è maggiormente toccata rispetto a una grande da un eventuale mutamento di struttura. Quando gli elementi costituivi sono limitati e le geometrie semplici, infatti, anche una singola aggiunta darà origine a fenomeni e dinamiche tali da alterare gli equilibri esistenti.

Una considerazione analoga, del resto, varrà per i processi decisionali. Aggiungendo una funzione geopolitica, infatti, questi ultimi si arricchiranno di dati e ipotesi i quali, se ben gestiti, ne amplieranno le prospettive e incrementeranno l’efficacia; di contro, se trattati maldestramente, avranno effetti strategici negativi più evidenti in confronto al caso di una multinazionale. Rispetto a successi, fallimenti ed eventuali responsabilità, infatti, le scappatoie sono limitate. Quanto descritto non dipende dalla natura della geopolitica – è chiaro – ma dal fatto che il peso relativo di un intervento sulla struttura e sui ruoli, così come l’introduzione in azienda di metodologie differenti è maggiore in contesti come le aziende di tipo imprenditoriale o familiare. Un capitolo a parte, infine, è quello dei costi.

Talora accade che le pmi abbiano bilanci claudicanti o che fatichino a mantenere il rigore finanziario, pur possedendo un buon prodotto e riscontri commerciali positivi. Ragionare sull’introduzione della funzione geopolitica in casi simili e sul suo possibile impatto, evidentemente, non ha senso. Prima di lanciarsi in speculazioni sul rapporto tra impresa e ambiente internazionale, infatti, andranno consolidati i cosiddetti fondamentali, come si dice nel basket. Questi casi, pur frequenti, non hanno del resto a che fare con il nostro ragionamento, poiché il tema centrale non è l’impatto della cultura geopolitica, quanto quel lo di una inadeguata cultura finanziaria. Nel caso di imprese strutturate, di contro, tale decisione assume i caratteri di una valutazione di costo-opportunità.

In confronto a una multinazionale, per un’azienda medio-piccola il costo-opportunità collegato al recepimento della geopolitica come strumento di business è crescente, infatti. In presenza di bilanci solidi – ma incomparabilmente più contenuti rispetto a quelli di un grande gruppo – e in strutture organizzative parsimoniose, investire delle risorse su una funzione geopolitica potrà effettivamente significare sottrarle ad altri tipi di investimento, magari direttamente impattanti sul prodotto o sui processi. In tal senso, diversamente dal caso delle imprese di grandi dimensioni, la decisione di dotarsi di una funzione geopolitica assume in questi casi il carattere di una scelta strategica.

Nel caso di un’azienda imprenditoriale, quel tipo di scelta svilupperà i propri effetti anzitutto e in maniera più significativa all’interno dell’organizzazione, piuttosto che, come nel caso di una multinazionale, verso i mercati e il contesto esterno. In ragione delle dimensioni contenute della struttura aziendale, infatti, l’attivazione di una funzione geopolitica opererà trasversalmente rispetto al corpo aziendale, agendo sul modo e sulla prospettiva con la quale le altre funzioni si relazioneranno con le opportunità e i rischi del contesto. Per questo motivo, in un’azienda media o piccola, la geopolitica potrà rappresentare un vero e proprio asset immateriale. Nelle mani di una leadership trasformativa, esso saprà generare valore non solo in una pluralità di dimensioni che coinvolgono il business, ma anche in periodi diversi della vita aziendale.

Il tema – è evidente – riguarda la qualità della leadership e il peso relativo delle decisioni nei contesti industriali di taglia intermedia e piccola all’interno dei quali, appunto, risultano a mio parere centrali. Nel caso di strutture leggere non ci si potrà affidare all’inerzia generata dalla massa dell’organizzazione – vale la pena ribadirlo. In casi simili, piuttosto, l’alternativa sarà sempre tra farsi trascinare dal contesto e condurre dal flusso, oppure governare efficacemente sé stessi e la propria azienda. Nella seconda eventualità, partendo da una conoscenza dell’ambiente profonda non meno che lungimirante, il processo di adattamento non costituirà una forma di reazione ai mutamenti esterni.

Grazie a consapevolezza, dinamismo e costanza da parte dei decisori, infatti, la relazione con l’ambiente esterno assumerà i caratteri di un processo generativo, capace nella migliore delle ipotesi di autoalimentarsi e spingere in questo modo i diversi modelli di business verso la costante evoluzione.



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