Il Consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto “dl Fisco“, il decreto legge che introduce “disposizioni urgenti in materia fiscale”, su proposta della premier Giorgia Meloni e del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Un provvedimento che, almeno sulla carta, sembra voler alleggerire la pressione burocratica e fiscale sulle partite IVA. Ma come spesso accade, le belle intenzioni non sempre corrispondono alla pratica. È davvero stato fatto il necessario? Il futuro resta incerto.
Nel dl Fisco la proroga che tutti aspettavano: tasse rimandate a luglio
La misura più immediata e probabilmente più apprezzata del dl Fisco riguarda il rinvio dei termini per i versamenti fiscali. I contribuenti che applicano gli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) e coloro che operano in regime forfettario potranno tirare un sospiro di sollievo: il versamento del primo acconto 2025 e del saldo 2024 slitta dal 30 giugno al 21 luglio 2025, con possibilità di ulteriore posticipo al 20 agosto con una maggiorazione dello 0,4%.
Certamente si tratta di un riconoscimento implicito delle difficoltà che molte partite IVA stanno affrontando, in un momento in cui il costo della vita continua a salire e la liquidità scarseggia. Ma queste difficoltà le vivono anche, e soprattutto, coloro che operano in regime ordinario: perché a loro non è riservato il medesimo trattamento? Ridicolo, poi, pensare che 20 giorni di rinvio possano fare davvero la differenza, rispetto a una pressione fiscale esagerata già in partenza.
Dl Fisco, novità per partite IVA: spese estere, terzo settore e redditi
Eccesso di burocrazia e confusione interpretativa delle norme da sempre rendono complicata la sopravvivenza delle partite IVA. Il dl Fisco è intervenuto con degli importanti chiarimenti e con delle misure che rendono più semplice scaricare le spese e calcolare il reddito effettivo. Oltre che con dei sostegni per chi sceglie di rientrare in Italia o per i ricercatori che decidono di lavorare nel Belpaese.
Deducibilità spese estere, finalmente un po’ di pragmatismo
Una delle novità più significative riguarda la deducibilità delle spese sostenute all’estero dai lavoratori autonomi. Finalmente maggiore flessibilità, per consentire ai professionisti di dedurre i costi per viaggi, vitto e alloggio pagati anche con strumenti non tracciabili, quando sostenuti fuori dai confini nazionali.
Una modifica che segna un cambio di passo nell’approccio. Per un equilibrio tra flessibilità operativa e controllo fiscale, per le spese di rappresentanza resta l’obbligo di pagamento tracciabile, a prescindere dal luogo in cui siano effettuate.
Terzo settore: regime fiscale agevolato dal 2026
Un’ulteriore nota positiva merita l’entrata in vigore del regime fiscale previsto dal Codice del terzo settore, già dal 2026. Il decreto recepisce le indicazioni dell’Ue che hanno stabilito la compatibilità delle misure fiscali per il terzo settore e le imprese sociali con le norme sugli aiuti di Stato. Di conseguenza viene eliminato il vincolo dell’autorizzazione europea per l’applicazione del regime fiscale agevolato, con effetti dal 1° gennaio prossimo. Una misura che, seppur positiva, arriva con due anni di ritardo.
Dl Fisco e chiarimenti sui redditi da lavoro autonomo
Il decreto fa chiarezza su alcune questioni interpretative relative ai redditi da lavoro autonomo per l’anno d’imposta 2024. In particolare, stabilisce che le plusvalenze derivanti dalla vendita di quote in società professionali (incluse le STP) vengano inquadrate come “redditi diversi”, anziché come proventi da lavoro autonomo, e che gli interessi e utili finanziari percepiti nell’esercizio di un’attività professionale si considerino redditi di capitale.
Meglio tardi che mai. Adesso la questione è più chiara, ma molti professionisti hanno già dovuto fare i conti con interpretazioni incerte, con errori nelle dichiarazioni e con i costi per consulenze specifiche.
Rimborsi spese fuori dal reddito imponibile: una svolta per i forfettari
Altro plauso al Governo va per il trattamento fiscale dei rimborsi spese. Fino al 2024 gli autonomi che hanno sostenuto delle spese per i loro clienti – ai quali le hanno poi riaddebitate – hanno vissuto una situazione paradossale: dovevano includere nel loro fatturato persino questi importi, rischiando di superare il regime agevolato, senza dedurre le spese corrispondenti.
Ora finalmente non avranno più alcuna influenza. Le spese sostenute del 1° gennaio 2025 resteranno fuori dal reddito imponibile. Questo permetterà a molti professionisti di accettare incarichi che prima evitavano pur di non compromettere i benefici fiscali del regime forfettario.
ISA e concordato preventivo: semplificazione o complicazione?
Il decreto interviene anche sul fronte degli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA) e del Concordato preventivo biennale. Le misure prevedono facilitazioni nel calcolo del riporto delle perdite fiscali – mantenendo, per esempio l’uso dei coefficienti di redditività basati sulla classificazione Ateco 2007 – e nell’applicazione della maxi deduzione del costo del lavoro, per favorire l’incremento dell’occupazione stabile.
Tuttavia, il mondo dei professionisti resta frammentato, perché ogni categoria di contribuenti deve fare i conti con eccezioni, limitazioni, benefici che richiedono competenze sempre più specialistiche per essere applicati. La tanto agognata semplificazione non è di certo stata raggiunta.
Split payment, un passo avanti e uno indietro
Sul fronte IVA, il decreto ha una doppia faccia: da una parte elimina l’obbligo di split payment per le operazioni con le società quotate nel FTSE-MIB a partire dal 1° luglio 2025, semplificando i rapporti commerciali con queste aziende, dall’altra estende l’applicazione dello split payment al settore della logistica e dei trasporti, creando nuove complicazioni per chi opera in questi settori. Ogni semplificazione sembra essere bilanciata da una nuova complicazione, per cui il livello di complessità, alla fine, resta invariato.
Quello che non c’è nel Dl Fisco: le lacune strutturali
Il dl Fisco, a seguito del quale la premier Meloni promette nuovi interventi finalizzati a “pagare meno tasse”, presenta tutte le lacune degli interventi che, in materia fiscale, si sono succeduti con i diversi governi. Prima tra tutte, l’assenza di una visione organica del sistema fiscale.
Il legislatore dimentica che a pagare le tasse, in fondo, siano i cittadini che fanno parte dell’economia reale e continua, invece, a intervenire con misure spot su problematiche singole, senza affrontare i nodi strutturali nel rapporto tra fisco e contribuenti.
Burocrazia e incertezza normativa
La seconda criticità riguarda l’assenza della riduzione della burocrazia, perché non ci sono interventi sulla semplificazione degli adempimenti dichiarativi. Inoltre molte delle novità introdotte hanno carattere temporaneo o sperimentale, creando incertezza sulla loro durata nel tempo. Come può un professionista o un’impresa pianificare investimenti e strategie, quando non sa se le regole di oggi siano ancora valide domattina?
Restano ancora in ballo i due candidati prossimi interventi: una nuova rottamazione dei debiti, voluta dalla Lega, e la riduzione dell’aliquota Irpef per il ceto medio dal 35% al 33%.
La riforma fiscale infinita
L’ultimo decreto è l’ennesimo intervento nell’ambito della riforma fiscale avviata nel 2023 e ancora in corso di attuazione. Una riforma che prometteva di tagliare le tasse e semplificare il sistema tributario, ma che continua a produrre decreti, correttivi, chiarimenti e modifiche in modo rapsodico.
Ogni nuovo provvedimento richiede aggiornamenti di software, formazione del personale, adeguamento delle procedure e finisce per rappresentare un ulteriore costo per professionisti e imprese, già gravati da inflazione persistente, pressione fiscale, costi energetici elevati e mercati incerti. Ma ogni intervento palliativo, si sa, ha una ricaduta sul piano psicologico: dà la percezione che finalmente qualcosa si muova nella direzione giusta, facendo dimenticare per un po’ la cecità di chi deve “farci i conti in tasca”.
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