Welfare fiscale e privatizzazioni: la destra sociale tra aiuti alle imprese e tagli ai servizi


Tra 2018 e 2020 lo Stato ha erogato 70 miliardi di agevolazioni fiscali nel welfare, favorendo il privato e le imprese; nel frattempo, sanità e edilizia popolare crollano, il debito cresce e i cittadini di reddito medio-basso pagano il prezzo più alto.

Chi si aspettava una destra sociale, attenta alle istanze degli ultimi, dovrebbe fare i conti con la realtà che alla fine è sempre preferibile alle narrazioni.

Un aspetto importante riguarda le politiche fiscali che vedono Meloni in perfetta continuità con Conte e Draghi.

Tra il 2018 e il 2020 lo Stato italiano ha assicurato agevolazioni fiscali nell’ambito del welfare pari a 70 miliardi di euro, praticamente, agevolazioni fiscali per la casa, incentivi per pensioni complementari e sanità integrativa, ma queste sono le scelte necessarie per restituire un welfare adeguato ai reali bisogni e quindi condizioni di vita dignitose? 

Gli aiuti fiscali sono convenienti rispetto all’intervento diretto del Pubblico a favore del welfare e permettono di continuare nell’opera di privatizzazione.

Molte delle misure intraprese a livello fiscale sono solo regali alle imprese che attraverso il welfare aziendale evitano di pagare troppe passe e scambiano aumenti con benefit. Ma questi regali avvengono con la partecipazione attiva del Sindacato.

Lo Stato si sostituisce al privato e finanzia con aiuti fiscali i salari evitando alle imprese di erogare gli aumenti per arrestare la erosione del potere di acquisto.

E il welfare fiscale conviene soprattutto ai redditi elevati e alle famiglie con elevata capacità contributiva. Quando sentiamo parlare di aumento del debito pubblico dovremmo chiederci come sia possibile con una sanità ridotta al collasso, la chiusura di plessi e servizi ospedalieri, la erogazione di minori servizi rispetto al passato, la mancata assunzione di personale sanitario, ebbene se guardiamo ai paesi dove la sanità è privatizzata la spesa complessiva non diminuisce ma aumenta sotto forma di rimborsi per le convenzioni dei soggetti privati.

Le grandi riforme annunciate sono rimaste lettera morta ad esempio quella del catasto, la rendita catastale infatti è decisamente bassa rispetto a un ipotetico canone di locazione e i valori catastali di riferimento sono fermi a 36 anni or sono senza applicare alla rendita i coefficienti di rivalutazione in base al costo della vita. 

Il patrimonio di edilizia popolare è insufficiente e soprattutto carente di manutenzione, molti Enti pubblici o gli Enti locali da tempo hanno svenduto i loro immobili per fare cassa, per ripagare il debito statale. La vendita è avvenuta a prezzi infinitamente inferiori al costo sul mercato della stessa casa.

E alla fine, ciliegina sulla torta, arriva la svolta repressiva del Pacchetto sicurezza che dedica ampio spazio agli occupanti di cassa.

Aiuti fiscali e monetizzazione dei servizi sociali sono determinanti per acquisire consensi ma anche per favorire alla fine le privatizzazioni o la sanità integrativa, i bonus strumento utilissimo anche a fini elettorali come lo sono stati nei mesi pandemici i buoni spesa.

Chiediamoci se sia corretto non tassare la prima casa mettendo sullo stesso piano un miniappartamento a una villa con arredi di pregio e piscina, sarebbe logico tassare allora immobili con un valore sopra una certa soglia.

E intanto mancano i soldi agli enti locali, le tassazioni non sono progressive e la base dell’imposta dipende non dal valore ma dall’utilizzo che ne viene fatto.

I tanti interventi di riqualificazione dei quartieri con soldi pubblici servono a valorizzare gli investimenti immobiliari trasformando la casa in una merce rara, intanto i costi per l’acquisto e gli affitti sono in costante aumento e non ci sono appartamenti di edilizia popolare da locare; nelle case popolari vivono migliaia di famiglie che ormai superano il tetto economico previsto e se la cavano pagando qualche decina di euro in più al normale canone di locazione. 

E chiudiamo sull’affitto al nero, gli affitti brevi, la gentrificazione dei centri storici, l’acquisto di interi lotti da Fondi di investimento stranieri ai quali i Comuni, anche quelli gestiti dal centrosinistra, hanno promesso di favorire in ogni modo il recupero di queste aree abbandonate. Le regole vigenti non obbligano gli immobiliaristi e gli Enti locali a destinare una quota del 30 per cento dei nuovi immobili agli affitti popolari, è quello che servirebbe ma che il Governo Meloni non farà.

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